Sport e Psicologia - 2014-2015 - Il mondo di ACE

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Sport e Psicologia - 2014-2015

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Il doping uccide lo sport e anche gli sportivi

Non intendiamo in questa sede polemizzare circa gli ultimi o i precedenti  casi di doping riguardanti atleti famosi, poiché nostro intento è parlare dello sport  quale preziosa opportunità per la persona di migliorare la sua salute fisica e mentale e quindi  la qualità della vita. Le radici dello sport affondano in un istinto naturale nella persona lo stesso che da luogo nel bambino a quel continuo frenetico movimento che appare come fenomeno fisico ma che in realtà è anche mentale.

Essendo il "movimento" un comportamento istintivo al pari del mangiare e del dormire è ovvio dedurre che lo stesso assuma una funzione salutare e conservativa dello stato di benessere della persona. Lo Sport, con le sue molteplici discipline, le sue regole finalizzate e la sua funzione socializzante, si fa veicolo di quell’istinto naturale (il movimento) accompagnando l’individuo nel superamento di se stesso mentre ne promuove la crescita contribuendo all’emancipazione sociale.  La sportivizzazione dello stile di vita che viviamo nel nostro tempo è traducibile in una generale ricerca della forma fisica, dello stato di salute e di varie altre potenzialità, (non ultime l’opportunità di confronto e socializzazione; di realizzare legami di amicizia; di rafforzare senso di appartenenza; di promuovere una migliore autostima e un miglior rapporto con il proprio corpo) e naturalmente il rallentamento del processo di invecchiamento. Nonostante quanto premesso sia già un notevole contributo positivo sia per il singolo che per l’intera società, data la natura egoistica e prevaricatrice degli individui, sempre più spesso si può osservare come, quando a quel naturale superamento di se stessi il corpo si oppone impedendo le  farneticazioni creative del soggetto, esso possa trasformarsi in una ossessione e delirio di Superman. E’ noto come sia nello sport di alto livello che in quello di massa, dilettantistico ed amatoriale, il sano rapporto con il fiero superamento di se stessi si sia smagliato poiché gli atleti, sia quelli del campetto di zona o della palestra sotto casa, sia quelli di società prestigiose e circoli d’elite, sempre più frequentemente svendono l’amor proprio, la propria dignità,  il rispetto di se e del proprio corpo, nonché la sacralità dello Sport a quella malefica sostanza chimica qual’è il doping allo scopo di aumentare artificialmente le proprie prestazioni e il rendimento fisico. Come ampiamente documentato ciò accade a ventaglio nelle diverse discipline come ad es.: nel ciclismo, nel calcio, nel tennis, nella pallacanestro, nel tiro con l’arco, nel nuoto, nella scherma, negli sport invernali eccetera. E’ difficile immaginare quale tipo di sentimento intimo possa accompagnare nel dopato l’esperienza del falso trionfo anche perché i dopandi sono gli ultimi a sapere (o a voler sapere) che l’uso di tali sostanze comporta degli effetti collaterali che generalmente non si augurano nemmeno al peggior nemico. Con il tempo a livello psicologico si manifesta una riduzione della capacità critica ed autocritica, riduzione della capacità di giudizio, riduzione della coordinazione di movimenti, irregolarità del sonno, irregolarità cardiaca, turbe comportamentali quali: irrequietezza; agitazione; tensione e ipertensione, nonché allucinazioni, euforia tremori e psicosi. Per questi e per tanti altri motivi siamo sempre più convinti che l’uomo non merita il dono della vita, poiché di fronte ad essa, alla sua grandezza ed il suo mistero l’uomo dimostra di essere  ancora un ottuso  analfabeta.
Dott.ssa Elisabetta Vellone


                                                            I figli dei maestri
Desideriamo in questa circostanza richiamare l’attenzione sul fenomeno, sempre più frequente, in cui il maestro di tennis è anche il genitore dell’atleta. Per dare un minimo di lustro e funzione di supporto utile a tale argomento è opportuno osservarlo dalle varie angolazioni dalle quali può essere considerato. Abbiamo l’angolo di osservazione dei genitori degli altri allievi; quello del genitore che ricopre il ruolo di maestro del proprio figlio o figlia; quello del maestro che è anche il genitore del proprio allievo o allieva; il ruolo dell’allievo in relazione al proprio maestro che è anche il suo genitore; quello dello stesso in relazione al proprio genitore che è anche il maestro di tennis e quello di un membro del gruppo in relazione ai propri compagni che non hanno il padre/maestro.
Verrebbe da pensare di primo acchitto, ad un caso di un conflitto di interessi, ma non è su questo, che intendiamo posare l' attenzione essendo la nostra una competenza squisitamente psicologica. Ci preme evidenziare le dinamiche psicoemotive chiamate in causa e le eventuali conseguenze disfunzionali che il fenomeno potrebbe attivare. Pensando alle competenze specifiche dei possibili duplici ruoli ricoperti da uno stesso soggetto, una legge della “relazione umana” prevede che il doppio ruolo attivo all’interno della stessa relazione tenda a spalmare le rispettive competenze fino a produrre una relazione atipica e impura difficilmente definibile in quanto le competenze si sovrappongono oscurando diversi aspetti delle componenti originali, le quali dando luogo ad inevitabili frustrazioni, possono attivare tossicità emotiva nelle parti , senso di oppressione e mortificazione del naturale appagamento auspicato proprio di ogni ruolo puro. Un classico del fenomeno descritto è rappresentato dai coniugi che lavorano insieme; costretti continuamente a sintonizzarsi ora sul ruolo di coniuge, ora sul quello di colleghi o datore e dipendente, finiscono per non essere più ne colleghi ne coniugi. Tornado al doppio ruolo di padre/maestro, quando questi richiama l’allievo o impone una regola oppure lo esclude dalla squadra del torneo in quale ruolo lo fà? Se lo fà da maestro, avrà il risentimento dell’allievo/ figlio che si aspettava un qualche privilegio da parte del padre, se lo fà da padre avrà il risentimento del figlio perché non si sente trattato obiettivamente come gli altri. Dall’ottica dei genitori degli altri allievi il figlio del maestro è visto come una spina nel fianco e spesso destinato a funzione di capro espiatorio di ogni scontento: se và forte è perché il padre si impegna solo con lui; se non và vuol dire che il maestro è scadente e se non è capace col figlio figuriamoci con gli altri; se lo allena da solo è perché pensa solo ai propri interessi; se non lo allena da solo vuol dire che è un egoista e  padre/padrone e cosi via. Proprio come a scuola, per il bene di tutti, l’alunno non dovrebbe mai stare in classe con la mamma o il papà insegnanti, così nel tennis sarebbe opportuno che il genitore faccia il genitore ed il maestro faccia il maestro.


Dr.ssa Elisabetta Vellone


Molte domande che pulsano nella mente raramente vengono poste
Tutti i giorni, sempre più sconsolati, ci troviamo costretti a domandarci perché accade tutto ciò che accade; tutti i giorni avremmo bisogno come il pane di avere risposte, spiegazioni, rassicurazioni e indicazioni, ma il problema è che mancano referenti autorevoli capaci ed intenzionati a Vedere, ad Ascoltare, a Comprendere e soprattutto ad Agire. La massa è ormai ridotta ad un cumulo di esseri soli e asociali, talmente soli al punto di aver perso contatto anche con se stessi e vagano famelici e inferociti nel deserto anaffettivo coprodotto.

Parliamo di una malattia? No! Si tratta solo di una mancanza. Per essere diretti potremmo citare, portandoli ad esempio, centinaia di fatti concreti, ma potremmo anche citarne appena uno prendendolo a caso nel mazzo per cercare di solleticare le zone in coma della nostra coscienza. Ci viene in mente a proposito quel caso del 7 u.s. dove un’ adolescente sedicenne in accordo col suo fidanzato pianifica l’uccisione dei propri genitori, poiché non contenti della loro relazione. Parliamo di una ragazzina di 16 anni della nostra cultura, non di uno dei membri del terrorismo, che arriva a desiderare e poi a mettere in atto, per mano del fidanzato, l’omicidio di sua madre e di suo padre!C’è davvero di che vergognarsi per tutti, per l’intero paese, ma come li stiamo crescendo questi giovani? E quella ragazzina come tanti altri, compreso il fidanzato esecutore materiale del gesto, come sono stati cresciuti, educati ed accuditi; come può tanto odio spietato covare in una famiglia o meglio in tante famiglie? E quei certi genitori che tipo di genitori sono o sono stati! Quale impegno, quale amore, quali valori, quali ruoli e soprattutto quali intenti e che tipo di relazioni affettive hanno promosso per essere così odiati dalla loro bambina? In natura, e l’uomo è parte di essa, vige una legge semplice che comprendono bene anche gli analfabeti, detta legge sentenzia: quello che semini … raccogli. La vita dell’essere umano, le sue azioni, i suoi progetti, i sogni le sue fatiche compreso lo stesso uomo, assumono un senso appagante e fungono da propulsori solo se contengono in se una connotazione emotiva significativa, coerente e propositiva (domandiamolo al depresso che è un esperto di detto fallimento); la vita è imperniata e sostanziata dalla capacità di amare e di ricevere amore. La creatura umana impara ad amare quando riceve in dono l’amore gratuito che sgorga dai cuori delle mamme ed i papà; da troppo tempo l’Ego ingigantito dei più di essi ha oscurato questa risorsa essenziale, al punto che sarebbe opportuno prendere esempio dagli animali, che con la loro capacità di amare i propri piccoli, si dimostrano sempre più coerenti ed affidabili della massa dei cosiddetti essere superiori.


Dr.ssa Elisabetta Vellone




Il dramma dei sintomi di senilità infantile

Ci piace pensare che i lettori ai quali ci rivolgiamo siano una folla di persone umili capaci di riflessione, di spirito critico ed autocritico, capaci di coscienza. Cari colleghi di vita vi sarete certo resi conto, e se no cercate di farlo quanto prima, che la barca sulla quale viaggiamo sta andando a fondo.
Si apprende in questi giorni che un’alta percentuale di bambini, di quei pochi che riusciamo a generare, accusano patologie e quadri clinici tipici della terza età ovvero bambini che presentano disturbi tipici della persona anziana; si annoverano fra questi la demenza mentale, l’obesità, l’ansia, l’anoressia e la bulimia, il diabete, l’ipertensione, l’insonnia, il colesterolo alto, i disturbi dell’umore, la solitudine ed altre. Per vari motivi, ma soprattutto per quanto appena detto, come società adulta dovremmo vergognarci profondamente e, usando un linguaggio familiare ai più piccoli, essere TUTTI sospesi ad oltranza per grave incapacità.


Nonostante il penoso periodo storico di cui siamo tutti corresponsabili, ma del quale ci risparmiamo qui di elencarne le pene, si coglie spesso negli occhi della fascia "adulti" una certa convinzione furbetta tipica di chi ritiene di aver trovato la formula segreta della felicità si tratta di quell’esercito di persone dai trenta ai cinquant’anni che riservano un accanimento particolare alla cura dell’immagine investendo tempo ed energie per curare la pelle, per curare l’aspetto corporeo emulando uno stille di vita come fossero eterni adolescenti. Detto fenomeno in progressiva espansione, e che chiama all’appello soprattutto l’adulto con prole, evidenzia una inevitabile deficiente capacità di svolgere responsabilmente il ruolo genitoriale. Troppi bambini trascurati e abbandonati a se stessi (soprattutto in senso psicologico), senza regole funzionali, senza una supervisione amorevole, protettiva e costante, senza rituali sani e riferimenti familiari solidi e rassicuranti, nonché senza spazi di condivisione e senso di appartenenza alla vita dei propri genitori.Molti bambini soffrono, soffrono tanto prima di deragliare sotto il peso un assetto cognitivo povero di affettività distorto e deviante che li condurrà prima o poi al disturbo psichico o fisico che sono poi due facce della stessa medaglia. Ma, a quanto sembra sia i genitori che le alte cariche che della società, non vedono, non capiscono o preferiscono non capire, preferiscono pensare che è a causa dei tempi che cambiano, ma i tempi non cambiano, cambiano solo le persone; molti attuali genitori hanno troppo da fare con se stessi, con i loro spazi personali, la loro bramata "libertà", l’autonomia eccetera per fare seriamente la Mamma o il Papà.
La famiglia deve essere un’unità solida, calda e stabile se intende esercitare il diritto di mettere al mondo delle anime innocenti  tenendo ben presente che il ruolo di genitore non può essere delegato A NESSUNO.
Dott.ssa Elisabetta Vellone

La "lingua" degli italiani non è sportiva

La bomba di fierezza e di  orgoglio che ci hanno regalato gli atleti italiani in questo periodo, a partire dall’impresa di  Flavia Pennetta con la sua strabiliante  vittoria all' US Open 2015, è la prova della particolare fibra talentuosa degli italiani sani, quando vengono "lasciati sciolti", liberi di esprimersi, impegnarsi,  manifestarsi ed ottenere risultati. Ciò nonostante non possiamo ignorare i drammi gravanti sul nostro paese, quali la caduta libera verso il degrado sociale, il degrado morale e l’aridità o la totale assenza di sentimenti umani, che inducono progressivamente l’individuo a comportamenti da lupo solitario affamato, bramoso e violento.


E’ noto come una società, quale comunità di persone che interagiscono in un sistema organizzato, finalizzato a perseguire il bene comune, non possa prescindere da una componente affettiva ed emotiva, capace di motivare e dare senso ad ogni azione sia del singolo che della collettività.E’ indiscutibile che  sia la crescita individuale che quella sociale si basino sulla capacità umana di agire ed interagire ispirati da sentimenti di collaborazione, di alleanza, ma anche senso di appartenenza reciproca, di solidarietà e di auspicabile capacità di amicizia. Ed è proprio sul concetto di amicizia che ci preme posare l’attenzione. Tornando all’impresa delle nostre finaliste al 2015 US Open (tennis); si è letto a grandi titoli, quasi a sovrastare quelli della conquista del trofeo, che l’amicizia fra la Vinci e la Pennetta era una "faccenda poco convincente" e che non è possibile stare a tavola con una persona con la quale competere, per la conquista del titolo il giorno dopo. Questo è il versante sconvolgente di tutta la faccenda"l’amicizia non è possibile, non può esistere" riducendola quasi ad una icona astratta da usare solo su Facebook. L’uomo a furia di dissacrare tutto va perdendo la sua umanità. Tanto per sottolineare la facilità con cui molti si eleggono facilmente "giudici del prossimo" possiamo riflettere anche, evento con stessa data, sui pettegolezzi lievitati intorno alla presenza del Presidente del Consiglio Matteo Renzi alla finale delle nostre campionesse di tennis a New York, nonché della imperdonabile mancanza di esporre la Bandiera italiana al contrario. Renzi si può criticare per mille motivi, ma non certo perché è andato ad onorare un impegno sportivo di tale importanza ad opera di due connazionali. Anche nel 1982 l’allora presidente Sandro Pertini andò ad onorare i nostri campioni  di calcio e tutti ne compresero il senso. Sempre i "giudici del fare altrui" hanno anche sbandierato ai quattro venti che il Presidente non ha badato alla posizione dei colori della bandiera, ma non si rendono conto della cantonata che hanno preso, poiché la bandiera era nella posizione corretta dall’ottica di Renzi è solo l’effetto fotografico che la ha rovesciata.

Dott.ssa Elisabetta Vellone



Le guerre dei nani sulle tribune
Per il rispetto che portiamo a tutte le persone caratterizzate da nanismo fisico ci sembra doveroso precisare che l’uso del termine contenuto nel titolo intende descrivere una presunta malattia mentale che chiameremo: nanismo psichico; indicando con esso una condizione mentale caratterizzata dalla incapacità di crescere, di evolversi e maturare fino a realizzare lo stato di “essere adulto” capace, maturo e responsabile. E’ indubbio che uno dei ruoli più nobili, dei quali può essere investita la persona, è quello di educatore; formare un figlio, un allievo, un giovane è un ruolo che rende costui maestro e coproduttore della storia dell’umanità.

Nelle pagine attuali di detta storia, e già da diversi capitoli, nonostante la vantata civilizzazione ed il presunto stato di popolo evoluto si osserva sempre più frequentemente il dilagare di una epidemia a carico della dimensione evolutiva umana quale quella del nanismo psichico. Per le caratteristiche sopra esplicitate il fenomeno comporta la riduzione progressiva della distanza, in termini di sviluppo ed età mentale, fra adulti e bambini tale che i giovani sono pericolosamente sollecitati a comportarsi da adulti mentre questi ultimi, incoscientemente, manifestano tratti caratteriali, emotivi e comportamentali tipici del bambino e dell’adolescente. Prova ne sono sia la crescente impotenza e confusione manifestata dall’adulto in tema di educazione dei figli, sia la pressante tendenza, da parte di bambini e ragazzi, ad emulare comportamenti adulti quali ad esempio: il linguaggio trasgressivo e volgare, l’attenzione morbosa all’immagine estetica, la sensibilità ai soldi facili e al successo, il sesso precoce, il fumo e lo sballo, l’assunzione di alcool, la richiesta crescente di libertà, la distanza emotiva dal nucleo familiare ed altre simili. Uno specchio sul quale si riflette il succo di tale scenario sono ad esempio le tribune del tennis. Non di rado sui campi da tennis si osservano bambini istrionici non ancora decenni   programmati per vincere   essi giocano, giocano, giocano e vincono mantenendo la promessa di portare a casa il baluardo “del campione” per la gioia di mamma e papà; poi arriva l’età preadolescenziale e il gioco si fa più duro, gli istrioni sono tanti e “la testa”, fra le problematiche dello sviluppo, le pressioni del branco e le attese immodificate del genitore, vacilla e l’istrione non vince più. Anche la famiglia istrionica inizia a vacillare: i sorrisi diminuiscono e inizia l’ansia isterica con i sermoni, le sollecitazioni, i richiami al/alla piccolo atleta; si accusa il maestro o l’intero circolo sportivo in sostanza un responsabile da lapidare occorre trovarlo. Parallelamente anche il giovane istrione con le piume cadenti cerca un responsabile e lo cerca spaziando   fra se stesso/a e il maestro oppure in qualche presenza negativa che gli/le porta “sfiga” e a volte quel qualcuno è proprio mamma o papà: da quando sei entrato/a non ho fatto più un punto. Come sempre tutti i nodi arrivano al pettine! La disfunzione si manifesta e tutti stanno male. Se l’educatore diventa imprenditore, negando al giovane  il tessuto di linfa vitale necessario a promuovere la solidità dell’Io e la certezza del proprio valore personale, della propria amabilità avallando la libera espressione delle proprie potenzialità, allora le “guerre dei nani “saranno una costante ed i caduti sempre più numerosi.
Dott.ssa Elisabetta Vellone





La paralisi del lavoro non è il male peggiore

La caduta libera di questo paese verso la" perdita" , la disoccupazione, gli stenti, la povertà, la disperazione, il senso di solitudine e abbandono, la rabbia verso tutti gli usurpatori delle ricchezze comuni, come un fiume in secca, mette in evidenza la melma dei fondali e tutto ciò che in essi alberga. Basta pensare che ci sono persone che sperano di essere arrestate per smettere di preoccuparsi per come mangiare e dove dormire ecc.. La disinibizione degli istinti più bassi, è ormai dimostrato, alimenta la tendenza  a delinquere nei confronti delle persone e nei confronti dei beni materiali, aumenta la violenza e lo sfruttamento, nonché l’abuso, il peculato, le frodi, le stragi, i traffici illeciti  i suicidi rendendo gli individui degli esseri di qualità molto scadente e spesso vergognosa.

Le autorità governative sembrerebbero ignorare da anni l’essenza propria all’arte del governare racchiusa nel sacro principio del "bene comune", ma anche l’importanza dell’esempio dato dal proprio agire in quanto figure leaders. In attesa di una auspicata volontà di rinascita e di recupero è opportuno evidenziare considerando, a caratteri cubitali, l’urgenza di una rieducazione civica e morale di massa. Ci riferiamo alla penosa tendenza alla rozzezza e alla volgarità che ormai prevale nel modo di fare generale in ogni ambito sociale, dovuta alla mancanza di stile, alla perdita della cortesia, della capacità di gentilezza, della cordialità, della capacità di rispetto, della lealtà e del senso di responsabilità. Rieducare un intero paese nella mentalità, negli intenti,  nel modo di pensare, nel modo di esprimersi e di comportarsi non è un’impresa semplice, ma neanche impossibile. Tanto per fare un esempio istintivo, dettato solo da un naturale  buon senso, si potrebbe pensare di distribuire a tappeto, a carattere obbligatorio, una circolare contenente le regole della convivenza civile e di buona educazione da osservare rigorosamente nel linguaggio verbale, nei comportamenti e nei modi di agire, nelle relazionali interpersonali  insomma in ogni ambito dell’agire pubblico. E’ naturale ritenere che fra i primi destinatari, di detta circolare, debba esserci la scuola con estensione a tutti gli ambienti che partecipano alla formazione dei giovani; subito dopo è opportuno pensare alla classe dirigente del paese dai politici ai leaders di qualunque livello indistintamente e, a seguire, agli uffici pubblici e privati e tutte le aziende erogatrici di beni e servizi, insomma a tutti. Altro opportuno provvedimento potrebbe essere quello relativo al divieto, non solo dell’uso, ma  della disponibilità del telefonino nel posto di lavoro e nella scuola unitamente al divieto dell’uso prolungato di strumenti elettronici, in quanto ipnotizzanti e con effetti degenerativi per il sistema nervoso della preziosa mente umana allo scopo di ri-promuovere la socializzazione, il linguaggio parlato, i contatti e i rapporti fra le persone. Riaffermare  il sacro criterio del merito ed il valore del buon esempio in ogni cellula dell’apparato sociale sollecitando le menti a perseguire il valore dell’"essere" al falso  valore dell’"apparire". Da non trascurare l’opportunità  del divieto assoluto di sostanze stupefacenti di qualsiasi tipo le quali in partenza illudono i consumatori di poter diventare dei super man per poi derubargli l’anima, i sentimenti e la dignità fino a ridurli delle larve umane. Il paese è in crisi; le istituzioni sono in crisi; le persone stanno cedendo e il prezzo che si paga è altissimo. Proprio come nei casi di infestazioni maligne e incontrollabili l’azione di bonifica dovrebbe essere massiccia, immediata e capillare.

Dr.ssa Elisabetta Vellone


Bambini obbligati a vestirsi da donna
Si legge sui quotidiani del 25 aprile US di una proposta al governo nominata “nei panni dell’altra” che intende proporre l’obbligo, patrocinato dal comune, per tutti i maschietti delle elementari e delle medie di travestirsi da femmine per promuovere e facilitare il fenomeno della comprensione e del rispetto della donna. Cari giovani genitori  se siete preoccupati e disorientati pensando alla formazione e l’educazione dei vostri piccoli finalmente potete rasserenarvi, poiché l’autorità preposta all’istruzione e la formazione della persona sta lavorando sodo per sollevarvi da alcune incombenze sfruttando ì sacri principi dell’esempio autorevole e l’emulazione di massa.

Non agitatevi se vostro figlio, da bravo alunno rispettoso dei compiti assegnatigli, pretenderà un mini guardaroba femminile con tacchi a spillo, minigonna griffata, magliettine di ultima generazione, parrucca di qualità e trucchi di buona marca per via dell’allergia; se il trucco è un problema non fatene un dramma basteranno poche lezioni ad opera di un travestito doc ed il successo sarà garantito. Vostro figlio imparerà in fretta e non si limiterà al solo rispetto della donna, come previsto dalle sagge menti che hanno partorito l’idea, ma le ignorerà fino a diventare talmente insensibile che non si accorgerà più della loro esistenza. Che si sappia, nel difficile ed affascinante mondo delle scienze psicologiche, nessuna legge psichica ha mai sostenuto che per comprendere un fenomeno è necessario (ammesso che ciò sia possibile) passare attraverso l’esperienza di: ”essere il fenomeno”. Nessun giudice prima giudicare un assassino compie un omicidio; nessun chirurgo ortopedico prima di amputare una gamba al paziente si sottopone all’amputazione della propria; nessun agente di polizia prima di ritirare una patente di guida causa il ritiro della propria. Una cosa è la sana empatia, con il diverso da noi, altro è l’essere il diverso da noi concetto quest’ultimo che chiama in causa la patologia mentale, la dissociazione e la personalità multipla. Appare naturale come il genitore medio possa sentirsi confuso e perdere punti della propria autostima contemporaneamente alla stima delle autorità di fronte a certe notizie/minacce; è comprensibile come potrebbe avvertire un forte bisogno di urlare e di punire la sorgente del dilagante degrado umano, dell’ignoranza emotiva e morale, di certe autorità indegne, e tutto ciò che ne consegue. Gli uomini di buona volontà grazie al loro buon senso sanno bene che tutto ciò che accade nell’età della formazione, o età evolutiva, è formativo della persona; tutto ciò che per l’adulto può essere solo una notizia per il formando diventa cognizione personale di base.  Per operare e parlare di età evolutiva, di educazione sana e di formazione della persona bisogna conoscere almeno le cognizioni di base della psicologia e dell’età dello sviluppo.
Dott.ssa Elisabetta Vellone


Questi nostri bambini mostruosi

Anche se come uno sconfinato branco di pecore ormai subiamo tutto con impotenza e con scarse reazioni intelligenti sarebbe davvero opportuno riconsiderare il valore del dono della vita, della quale siamo indubbi testimoni e protagonisti, unitamente agli "oneri ed onori" che la stessa comporta. La tendenza di massa appare quella di assistere impavidi e con atteggiamenti vittimistici, tipici di chi subisce un danno, al dilagare di un fenomeno estremo qual è quello dei bambini (attenzione bambini non ancora in età adolescenziale) violenti, bambini assassini, bambini stupratori, ladri, truffatori ed altre simili. Gli adulti un po’ confusi e un po’ incoscienti dimostrano di non capire, di non sapere cosa fare e di non avere idea di quali potrebbero essere le cause di detto allarmante fenomeno spostando automaticamente l’asse delle responsabilità all’esterno di se stessi in direzione di una indefinita potenza dei tempi che cambiano. Ma il carattere dei tempi è la risultante dell’opera dell’uomo e non il contrario, proprio come quando un piatto è immangiabile la colpa non è del palato, ma degli ingredienti che sono stati usati.

Da diverse generazioni, in forza di una patetica regressione di massa che vede gli adulti ricollocarsi allegramente ed incoscientemente ad uno stadio evolutivo infantile e adolescenziale, la società adulta ha smesso di occuparsi responsabilmente dell’educazione, la protezione e la formazione dei propri figli ignorando progressivamente ogni criterio di buono e di sano, ogni capacità di buon senso, di maturità ed auto responsabilizzazione. I bambini non sono figli dei tempi, ma figli dei genitori i quali per legge di natura hanno il compito di accudire, educare e proteggere i loro piccoli fino al raggiungimento della maturità e la capacità di autonomia per poi prendere quella salutare distanza che consente loro le prove di "messa in pratica" pur rimanendo presenti, discreti e disponibili. Le sacre leggi di natura, abrogate e svuotate di senso, hanno lasciato il posto alle deleghe più inadeguate e pericolose; a partire dalla televisione in camera, il cellulare in tasca e l’uso incontrollato della rete poi, aggravati  dalla patologica così detta maggiore libertà, si sono lasciati i piccoli alla deriva in balia della solitudine ed esposti al cattivo esempio in primis della famiglia e di quello delle più basse falde sommerse del sistema sociale poi; privi di figure di riferimenti genitoriali positivi; privi del caldo "focolare", dei buon esempi e privi di amore gratuito. La sacra fase infantile, quale età della purezza, dell’ingenuità, dei sogni e dell’innocenza la dove come in una terra vergine vengono impiantate le basi della persona, i valori portanti e  le regole di vita, è stata tagliata, abolita; i bimbi vengono indottrinati con miserabili falsi valori propri della società materialista, cinica e dissacrante, la quale come una belva affamata li aspetta per divorare il loro apporto facilmente ottenibile. I nostri bambini, adultizzati ed eroticizzati precocemente, emulano e scimmiottano i comportamenti adulti per tentare di riempire quel vuoto affettivo e quella mancanza interiore sempre più ignorata e disattesa dalla famiglia e dall’ambiente del bambino in generale.

Dott.ssa Elisabetta Vellone


L’ereditarietà dell’affettività
Apriamo questo lavoro posando l’attenzione sul complesso fenomeno dell’affettività e il ruolo che svolge nella nostra vita. Cos’è l’affettività? Generalmente diamo per scontato di sapere perfettamente cos’è, ma se proviamo a spiegarla ci rendiamo conto che le parole si fermano. In realtà quello che sappiamo dell’affettività è che proviamo delle emozioni, che spaziano fra: emozioni di dolore, di gioia, di paura, di allegria, di entusiasmo, di vergogna, di rabbia ecc., ma da dove vengano, queste emozioni, e perché le proviamo ci è abbastanza sconosciuto. L’intento che ci proponiamo  oggi sarà proprio quello di fare un po’ di luce su questo aspetto. Pensiamo alla dimensione affettiva come ad una massa energetica ( non percepibile dai nostri occhi) in continuo transito in entrata ed uscita fra la persona e il suo ambiente; quindi fasci di complesse frequenze in continua vibrazioni che transitano fra la persona e il suo ambiente e, che contemporaneamente descrivono, caratterizzano e informano sulla qualità dello scambio fra il soggetto e l’ambiente, ma anche fra il soggetto e se stesso.

Dette frequenze formano il clima emotivo intorno alla persona e della persona che naturalmente può essere: negativo-positivo; piacevole-spiacevole; funzionale-disfunzionale; sano-patologico. Da quanto detto è consequenziale dedurre che, l’affettività di una persona non è da considerarsi qualcosa all’interno di essa, ma come una dimensione in cui la persona abita e che si espande oltre se stessa investendo persone e cose intorno a se. Per quanto riguarda la sorgente di questa energia (l’affettività), dobbiamo rimetterci all’idea che è uno speciale dono di Dio, possiamo, però per convenzione, paragonarla al sapore del cibo quando mangiamo solo che in questo caso si tratta del sapore del cibo della psiche e dell’animo umano, cioè il sapore della nostra stessa esistenza. Teniamo sempre presente i due valori assoluti ed universalmente riconosciuti dell’esistere che sono: benessere e sopravvivenza; tutte le forme viventi tendono a vivere ed a realizzare il sano benessere. Se teniamo presente queste leggi  possiamo allora comprendere che tutto ciò che accade ( in noi e intorno a noi) se risulta in armonia con i principi di benessere e sopravvivenza attiverà delle frequenze o vibrazioni positive e noi avvertiremo benessere ed emaneremo emozioni positive, se invece risulta in contrasto con essi noi avvertiremo ed emaneremo emozioni negative dando luogo ad una dimensione affettività (la nostra) coerente e conseguente, che sarà positiva o negativa e che si esprime sotto forma di: emozioni, passioni, stati d’animo e sentimenti. Molte azioni dell’uomo, erroneamente attribuite alla sfera della razionalità, sono invece determinante dall’affettiva. Ogni persona, ogni evento ed ogni ambiente possiede un suo colore affettivo, conferitogli dalla stessa persona che lo osserva e  che si manifesta attraverso l’atmosfera che si determina promuovendo azioni e comportamenti quali ad esempio: amore-odio, gioia-tristezza, onestà-disonesta, sincerità-menzogna, lealtà-slealtà ecc. Lo stato umorale della persona è un clima emotivo personale abbastanza stabile e coerente con la dimensione affettiva del soggetto; facciamo qualche es: umore positivo - sereno, positivo-allegro,  positivo-ottimista, ovvero: negativo-triste, negativo-pessimista,negativo aggressivo ecc.. Ciò premesso andiamo allora a considerare il fenomeno dell’ereditarietà dell’affettività. Abbiamo detto in altra circostanza, che la dimensione emotiva della persona non è un’attività che compete alla mente razionale pensante, ma è gestita dall’intelligenza emotiva inconscia (sin dal momento zero della vita) la quale, per sua natura, persegue naturalmente il vero bene del soggetto ispirandosi a quelle leggi universali di benessere e sopravvivenza. Quando il nostro umore di fondo e le emozioni sono  di tipo negativo vuol dire che i nostri comportamenti, azioni ed intenti sono disfunzionali e noi non siamo allineati per realizzare il nostro vero bene.
Quando l’individuo non è in armonia, quando soffre, il suo umore di fondo è negativo ed anche i suoi stati d’animo sono negativi, come pure le sue emozioni ed i suoi sentimenti dando luogo ad una affettività, di tipo negativo condizionata e condizionante per se stessi, ma anche per gli altri ovviamente. Ed eccoci al punto del nostro lavoro odierno: se questi altri sono i propri figli, ovvero quelle creature che,  come abbiamo visto, sono naturalmente dipendenti dalle figure di riferimento ecco che si passa il testimone! Ecco che si consegna l’eredità affettiva!!!!! Tenendo presente che l’affettività non transita sulle frequenze del pensiero razionale, ma si comunica direttamente da inconscio a inconscio,
ecco come il genitore impone ai propri piccoli l’ assimilare ed ereditare quell’affettività negativa e disfunzionale con l’aggravante che per essi è materiale formativo! Da cui il classico discorso che tutti conosciamo: i figli di persone depresse sono depressoidi, i figli di violenti sono aggressivi, i figli di genitori ansiosi sono ansiosi, i figli dei timidi-timorosi sono inibiti ecc. ecc.


Dr.ssa Elisabetta Vellone


Femminicidio: perché?

In tema di meraviglie esistenti la donna e l’uomo sono esemplari di spicco.  Lei con la sua sensibilità, la sua dolcezza,  il suo calore e la forza interiore; lui con la sua forza fisica, l’autorevolezza, il coraggio e l’stinto di protezione  insieme, quando sono uniti in Amore, realizzano la magia della vita che continua e danno luogo, in quanto micro cellula del macro sociale, alla vita organizzata di ogni popolo. Tutto inizia dalla famiglia e quindi dalla coppia. Peccato che questa descrizione sembra solo l’introduzione di una favola d’altri tempi, poiché allo stato attuale delle cose tutto lascia presagire una crescente grave ostilità fra i due generi unitamente ad una crescente incompatibilità.

L’uomo e la donna, tendenzialmente, hanno smesso di amarsi, di amare e di completarsi a vicenda. Il fenomeno è ancora sommerso, ma la dimensione è allarmante e non è necessario documentarla. La malvagità, l’ostilità, la ferocia e la grettezza all’interno della coppia è documentata ogni giorno dalla cronaca nera, nonché dal disagio infantile crescente per mancanza di ambiente affettivo sano e coerente.L’uomo e la donna sembrerebbero diventare sempre più  rivali e nemici dimostrando entrambi un inspiegabile  disagio nei rispettivi ruoli; sembrerebbe, anche, che una sindrome di invidia di massa indistinta induca m aschi e femmine ad emularsi a vicenda al punto che i soggetti autenticamente maschili e quelli autenticamente femminili vengono visti come degli esseri fuori moda. Le riflessioni di cui sopra nascono da un interrogativo obbligato considerando il gran numero di donne maltrattate ed uccise  dal proprio partner o ex partner (solo nel 2011, 2060 vittime pari a oltre il 30% degli omicidi). Perché gli uomini uccidono le donne che dicono di amare o di avere amato? La risposta è di una semplicità disarmante, le uccidono proprio perché non le amano, ma le posseggono. Avendo, la donna, preso coscienza della propria dignità di persona ed essendo sempre meno disposta ad obbedire ad un padrone ingiusto, ha osato reagire, prendere decisioni e rendersi autonoma tutto ciò, relativamente al fenomeno in esame, fa infuriare alla follia il partner padrone che si autorizza ad esercitare il diritto di vita o di morte sulla sua proprietà, "la sua femmina", in termini di : o mia o di nessuno. Quando gli uomini, e anche le donne, diventeranno grandi e impareranno ad amare e a rispettarsi reciprocamente non ci sarà più bisogno della violenza e della prevaricazione, perché avranno finalmente compreso che il senso dell’esistere è contenuto nel dono dell’amore reciproco.

Dr.ssa Elisabetta Vellone

Stavamo meglio quando stavamo peggio?

Il mondo del lavoro, crisi compresa, oggigiorno è a pieno titolo parimenti popolato da uomini e donne. La donna sta dimostrando di essere perfettamente in grado di svolgere quei ruoli che un tempo sembravano esclusività maschile. Onestamente dobbiamo riconoscere che in molte circostanze la donna può essere preferibile al collega maschietto; essa è più tenace, più incline al sacrificio e in genere più impegnata nello studio doti queste che le consentono di ottenere con maggiore probabilità i risultati che le stanno a cuore. Di conseguenza temi come esigenza di autonomia, libertà, carriera, occupazione e disoccupazione sono "titoli di testa" per gli uni come per gli altri.

Questo fenomeno, sulla carta, non fa una piega è una delle tante pagine scaturenti dal processo di evoluzione e cambiamento sociale, ma nella realtà, cioè in quello spazio delle relazioni umane della vita quotidiana dove si intersecano magnificamente ruoli e significati: sguardi, linguaggio verbale e non verbale, emozioni, sentimenti, intenti, la dove le persone (per usare un termine del momento) si connettono con i propri simili, c’è perplessità e smarrimento, quasi un’atmosfera di lutto. La donna è cambiata: ha imparato a bestemmiare, ha imparato la volgarità nel parlare e nell’agire, ha imparato ad aggredire ad essere spietata per ottenere vantaggi, ha imparato a bere, a sballarsi, a derubare i vecchietti, a spacciare, ha perso stile, poesia e pudore. La donna ha imparato ad usare ed abusare del potere, sa essere tirannica e determinata, spietata. La donna si sta appropriando di tutte quelle caratteristiche che un tempo si ascrivevano, quasi esclusivamente, agli uomini peggiori, quelli cattivi e più grevi!  La donna ha tradito se stessa. Ha rifiutato il titolo di regina della casa e fulcro della famiglia. Ha rinnegato la sua femminilità, la dolcezza, ha abbandonato quella delega speciale ad amare incondizionatamente ed educare i figli nell’amore; ha abbandonato il focolare che non è più luogo di rifocillamento, di amore e di consolazione, ha abbandonato i figli, ha abbandonato anche l’uomo.
La donna non ama più, calcola tutto, pianifica freddamente per avere … avere ... avere, ma cosa?  Essa aveva tanto e non se n’è mai accorta, né si è accorta di quanto essa fosse indispensabile e quanto riuscisse a dare ed avere  dagli altri. Le pagine della sempre più macabra realtà quotidiana sollevano un dubbio: ma è questa l’evoluzione? Evolversi non vuol dire elevarsi, crescere e migliorare la qualità della persona e della vita?  Può quanto sopra, e quanto noto a noi tutti, essere considerato miglioramento? Forse stavamo meglio quando stavamo peggio!


Dott.ssa Elisabetta Vellone


Cosa  accade quando il genitore è scontento?
Il genitore può sentirsi scontento per vari motivi ad esempio: Perché c’è tensione nella relazione di coppia.

Quando all’interno della relazione genitoriale manca l’amorevolezza, l’alleanza, la dolcezza con perdita di stima e rispetto, reciproco, tutti gli scambi sono caratterizzati dalla tendenza ad accusarsi reciprocamente, a squalificarsi e colpevolizzarsi l’un l’altro per tutto quello che non va. La relazione si concretizza  in un attrito continuo e conseguente cattivo umore generale del quale è facile immaginarne le conseguenze e le ripercussioni sull’esperienze dei figli in termini di tossicità emotiva, frustrazione e danni psicologici.


Il genitore può essere scontento perché si sente oppresso da un partner geloso, asfissiante e sospettoso
L’atteggiamento sospettoso e persecutorio del partner geloso, quale atteggiamento aggressivo pregno di possessività, distrugge lentamente ogni forma di sentimento sano creando un clima relazionale di implicita ostilità, violenza e diffidenza.
Può esserlo per motivi di infedeltà e relazioni extraconiugali
Quando l’altare della famiglia viene dissacrato con l’abbandono e la negazione di esso, da parte di uno dei genitori, l’effetto dissacratorio sulla prole assume un andamento negativo e demolitore a macchia d’olio nel senso che i figli tenderanno a sviluppare un carattere opportunista, vendicativo e speculatorio ad oltranza.
Capita anche che il genitore è scontento perché sente di invecchiare e non accetta le trasformazioni naturali dell’età
Il genitore che va in crisi ai primi segni di maturità ed invecchiamento è un adulto nel quale è prevaricante un io bambino egocentrico e superficiale che mal si concilia con il ruolo di genitore. Il genitore immaturo in genere affascina i figli piccoli nell’età prescolare, ma contemporaneamente li costringe a non sollecitare  e sviluppare la propria dimensione adulta e il proprio super io, perpetuando così l’immaturità.
Può essere scontento perché in preda a
difficoltà economiche o crolli finanziari non accettati
Nella nostra epoca caratterizzata dalla cultura del successo, del benessere e dell’immagine la mancanza di agiatezza può essere vissuta come un fallimento personale o un motivo di vergogna che sacrifica ed oscura il clima emotivo di tutta la famiglia generando, con molte probabilità, nella mente dei piccoli il tarlo o la fissa dell’arricchimento a qualunque costo.
Oppure può essere scontento perché
non accetta che i figli crescono e diventano persona
Alcuni genitori risultano adeguati, nei  rispettivi ruoli di padre o madre, solo fintanto che i bimbi sono piccoli e concepiti come una proprietà personale passiva da gestire completamente.
Quando i bimbi cominciano a pensare autonomamente e ad esprimere il loro pensiero il genitore va in crisi e spesso reagisce aggressivamente ammonendo e contrastando il piccolo quasi a comunicargli l’ordine di non crescere.
Oppure semplicemente perché sono un po’ nevrotici ed attribuiscono la colpa del proprio scontento alle persone più vicine: la famiglia.

Nel caso del genitore con nevrosi personali mai risolte si possono osservare nei figli i comportamenti disfunzionali più svariati:
inversioni dei ruoli; comportamenti ansiosi; rituali ossessivi; comportamenti violenti; difficoltà di concentrazione; devianze di vario tipo.
Confusi, stressati incapaci di coordinare un percorso di crescita sano e proficuo, attaccamento dipendente  ed altre.
Se teniamo presente quanto detto fino ad oggi circa il clima affettivo, i bisogni primari e l’eredità dell’affettività ci rendiamo conto che sempre più spesso la vera fatica è nascere figli.

Dott.ssa Elisabetta Vellone

… ora si che siamo davvero poveri!

Questa nostra società continua a dare segni inconfutabili di come le persone, nessuno escluso,  siano divenute progressivamente povere e grette, povere nello spirito e nell’intelletto compresi  gli arricchiti, i benestanti e i potenti ciò è dimostrato dall’alta percentuale di straccioni, miserabili, accattoni e parassiti che escono continuamente dalle fogne collettive infestando la società. Si è quasi completamente perso il senso del buono e quello del bello all’insegna della  gratuità. Gli occhi dei più appaiono bui, contriti ed assenti non più viatici di desiderio di incontro e di scambio, di voglia di conoscenza, di desiderio di contatto umano e di bisogno di amicizia, allegria ed alleanza. Nella sfera del "bello" sta scomparendo la dolcezza dell’animo, la cortesia, l’eleganza dell’essere e del fare; in quella del "buono" sta scomparendo il senso dell’onore, della lealtà, del rispetto del prossimo e soprattutto di se stessi, si sta perdendo ogni traccia culturale della gentilezza e della gratitudine.

Non c’è più fiducia. Non c’è più pudore. E’ scomparsa ogni forma di regola. E’ scomparso il sorriso gioioso e spontaneo persino sul volto dei bambini che hanno scoperto come, sempre più spesso, l’orco cattivo è proprio in famiglia, quella famiglia ormai ridotta a brandelli e svuotata dei sacri potenziali e delle specifiche funzioni. Tutti soli, tutti chiusi in se stessi, tutti in fuga da qualcosa sempre più nevrotici, scontenti ed aggressivi. Al contrario di come suggerisce una nota canzone italiana l’anima dell’uomo non vola più forse, perché ormai sommersa dal vergognoso pattume umano, è troppo pesante oppure, perché è assente. Ad onor del vero va comunque sottolineato che parliamo di tendenza e di maggioranza, poiché in un piccolo scrigno, ignorato dai "cattivi", è custodito accuratamente il più grande tesoro dell’uomo: la sua capacità di amare; prova ne sono quelle oasi di passione che ancora sopravvivono nonostante tutto. Passioni come espressione di amore gratuito che vivono certi sportivi, certi artisti, certi artigiani o professionisti i quali nel fare ciò che amano possono ancora sentire l’anima volare e il senso pieno della vita. Questi, gli unici ricchi rimasti.

Dr.ssa Elisabetta Vellone


Il club come una famiglia .....

Consentitemi di sottolineare le caratteristiche del concetto di famiglia in quanto, forse, la conoscenza della stessa,che sembra propria di tutti noi, al contrario lo è solo in forma approssimata. La famiglia se pur cellula più piccola del sistema sociale costituisce l’istituzione fondamentale della società; essa può essere fondata sul matrimonio o la convivenza mutuata da legami affettivi e da un sistema di valori condivisi dove i membri che la compongono sostengono e condividono caratteristiche di stabilità, esclusività e responsabilità, grazie alle quali il sistema sociale si perpetua, si riproduce e si rinnova su ogni piano della realtà umana.

Ci rendiamo conto come la descrizione di cui sopra, data la maxi crisi in atto che non ha colpito solo la famiglia, ma ogni cellula del sistema, compreso il singolo l’individuo, possa stridere con la arida realtà fattiva ed affettiva di questa nostra epoca. Con orgoglio e rinnovata speranza possiamo però sostenere che la stabilità,  i legami affettivi, i valori condivisi e il senso di responsabilità continuino a germogliare imperterriti in ogni terreno fertile disponibile uno dei quali è il mondo dello sport con i suoi molteplici clubs che potremmo assimilare ad una famiglia in quanto la grande mole di atleti di ogni età e delle diverse discipline, attraverso la persona giuridica dei propri clubs di appartenenza, non perde occasione per celebrare e condividere il dolore delle perdite umane in particolar modo di colleghi con incontri e partite memorial oppure  partite a scopo di beneficenza per finire con la raccolta di fondi per la ricerca.
Azioni nobili per nobili intenti dettati dalla gratuità che molto ci rassicurano nonostante tutto.


Dott.ssa Elisabetta Vellone


Sulla soglia dell’autodistruzione

Fermiamoci un attimo, guardiamoci dentro, e cerchiamo di ascoltare lo stato d’animo che ci domina intimamente. Molti avvertono il senso di tradimento, di abbandono e una spietata solitudine, altri rassegnazione disperata, altri ancora sono pervasi da una rabbia distruttiva, moltissimi non avvertono più nulla perché si sballano con droghe ed alcool. Se ci guardiamo intorno a medio e lungo termine non c’è nulla che alimenti la speranza e la fiducia; la nostra società impavida guarda un deserto denso di caduti, di cadaveri, di brutture e di zombi.


La gente uccide con sempre maggiore facilità il proprio prossimo, i propri cari, uccide se stessa e poi ruba, raggira imbroglia e chiede elemosine. Il paese è impassibile ai tanti dolori di chi rimasto senza tetto, senza poter mangiare, senza nessuno che ti aspetta in una casa e ti sorride, senza dignità. La prostituzione anche di giovanissimi non fa più notizia. Sotto la fascia degli amici di “Picone” super ricchi ce n’è un’altra senza amici che ancora resiste, ma non per molto, poiché non sa di avere un laccio intorno al collo che ogni giorno si stringe un po’fino a che non li vedrà crollare strozzati uno dopo l’altro. Il paese non sa creare lavoro o forse non vuole, forse non ama i suoi cittadini, però continua a spremere le persone come limoni con tasse, super utenze, super multe e restrizioni di ogni tipo; la vita sta diventando impossibile anche per i migliori intenzionati. Si è diventati bravissimi a far finta che tutto va bene, ma in realtà si è tutti un po’ “fuori” impoveriti non solo materialmente, ma soprattutto psicologicamente e moralmente con tracce sbiadite di capacità di coscienza e di discernimento.

Dott.ssa Elisabetta Vellone

                                                 L’uomo e il suo bisogno di nascondersi
Inutile parlare del disagio che caratterizza sempre più marcatamente il rapporto fra l’uomo e la donna; la violenza che spesso esplode all’interno della coppia ne è conferma e testimonianza. Uomini e donne dimostrano di essere sempre meno due poli che si attraggono per completarsi reciprocamente nell’amore, mentre sovente si usano e sfruttano a vicenda; il bum dei rapporti omosessuali, l’atmosfera di infedeltà, la rivalità, la mancanza di rispetto, di comprensione e di collaborazione reciproca testimonia l’attrito e la rivalità latente fra l’universo maschile e quello femminile. Se usassimo una chiave di lettura religiosa del fenomeno probabilmente avremmo subito delle risposte esaurienti, ma la nostra è una chiave di lettura psicologica che impone di comprendere le dinamiche mentali sottostanti  detta crisi.


Probabilmente, in assenza di una educazione consapevole, una sorta di latente invidia implicita induce la femmina ad emulare il maschio ed il maschio ad emulare la femmina; sin da piccolissimi vengono educati in batteria agli stessi comportamenti e stili di vita. Stessi giocattoli , stessi sports, stessi abbigliamenti, stessi trattamenti, stesse facili concessioni, stessa sciagurata “libertà” etc. Da quanto considerato è facilmente deducibile quanto l’identità personale, unitamente a quella di genere, possa rivelarsi fragile , confusa ed incapace al discernimento. Ciò nonostante si notano a volte, nel corso della vita di ambo i sessi, degli sprazzi confusi di esigenza di affermazione ed auto propaganda del “SE” che, però date le premesse, può realizzarsi solo sul piano fisico.
Bambine adolescenti che non sanno cuocere un uovo, ma sanno essere perfette copie di “vamp” e donne vissute; ragazzini che non sanno cambiare una lampadina fulminata alla madre, ma che sanno imitare perfettamente “boss malavitosi” e faccendieri vari. E poi ci sono gli adulti con i loro mille scheletri nell’armadio: vizi nascosti, sesso depravato, droghe, atti illeciti ed una valanga di paure celate accompagnate spesso dalla voglia di sparire nascondendosi dietro un dito o dietro un monitor. Dato tutto ciò qualunque provvedimento in grado di distogliere l’attenzione dalla propria persona va benissimo! Parsing, occhiali scuri, tatuaggi, creste colorate, teste calve e poi, moda dell’ultimo anno, le barbe di ogni tipo ed ogni formato le quali come una tenda, sotto la mantovana dei capelli, consentono di annullare e nascondere qualunque forma di emozione e di mimica espressiva del volto; un vero salvagente che sta affascinando anche le donne.


Dr.ssa Elisabetta Vellone

La mente dominata dalla paura

Fra le cause del disagio psicologico che caratterizza la persona dei nostri tempi un posto di primo piano è indubbiamente quello giocato dalla paura. E’ doveroso precisare a tale proposito che in realtà, quella che generalmente viene definita paura, altro non è che ansia generalizzata. (vedi articoli: "come funziona la nostra mente" nel sito della sottoscritta). Lo stato di paura è un sentimento sano, naturale ed auspicabile, poiché consente al soggetto minacciato da un pericolo reale di porsi in stato di allerta e di difesa; l’ansia pur presentandosi con caratteristiche identiche a quelle della paura, è una nevrosi sempre attiva poiché generata da un pericolo immaginato e mai reale. Tra le forme più popolari di detta "paura"che d’ora in poi chiameremo più propriamente ansia abbiamo: Ansia da prestazione; il soggetto ogni volta che si trova nella condizione di dover dare prova di se, convinto di non essere all’altezza, entra in uno stato di agitazione che lo confonde e gli impedisce di compiere anche le azioni più scontate.

Tale disagio può disturbare, fino a comprometterli, diversi ambiti del comportamento quali ad esempio: le relazioni col prossimo; le prestazioni sessuali; le prestazioni sportive; quelle intellettive; quelle affettive ed altre. La persona ansiosa a causa di ciò è portata a mettere in atto comportamenti evitanti al fine di risparmiarsi il presunto giudizio negativo degli altri, ma anche il suo stesso giudizio negativo con gravi conseguenze sul proprio umore generale e la propria evoluzione. Non da meno sono altre dinamiche ansiose quali: ansia dell’io e ansia del disagio soventi causa di fobie, attacchi di panico, ossessioni, manie, pregiudizi ed altre. Per ansia dell’Io si intende tutto ciò che nevroticamente minaccia l’immagine di se, strettamente correlata all’accettazione e all’approvazione da parte degli altri quali elementi propedeutici per l’auto approvazione ed il riconoscimento del valore personale. Per ansia del disagio si intendono tutte quelle presunte situazioni dove il soggetto si immagina di soffrire, star male e non riuscire sopportarne il dolore. Il timore di diventare poveri, di perdere il sostegno di una persona morbosamente ritenuta indispensabile, il timore di perdere fama, potere e comando ed altre simili. Un fenomeno classico dei nostri tempi che conferma quanto finora sostenuto è quello della serialità degli individui e dei loro comportamenti: ci si emula gli uni con gli altri rendendo ogni ambito della vita seriale. Tutti fanno le stesse cose, tutti si vestono e si acconciano allo stesso modo, tutti dichiarano gli stessi bisogni, le stesse paure, tutti lamentano il diritto alle stesse trasgressioni, tutti con gli stessi vizi. Questa è ansia. L’essere umano sempre più raramente è in grado di distinguersi, differenziarsi ed affermarsi facendo onore a se stesso.

Dr.ssa Elisabetta Vellone



La vita ed i suoi valori, dei quali non si parla mai
In questo nostro mondo tecnologico, ma  sarebbe meglio definirlo "tecno illogico", dove miliardi di scambi multiformi e di rumori si sovrappongono 24 ore su 24, producendo nella persona senso di affaticamento, confusione, senso di solitudine e di inadeguatezza, ormai la gente non parla quasi più con i suoi simili, ma soprattutto non parla mai e non pensa in termini di valori della vita ne si ispira ad essi nel proprio agire. Lo stato di inciviltà che avanza, il degrado materiale e morale, l’incuria generale, l’incapacità, la slealtà, l’egoismo, l’aggressività, la volgarità, i vizi, le condotte antisociali sono tutti indicatori di un sistema patologico ormai incapace di recuperare se stesso ed un modus vivendi non adatto di accudire il singolo e la collettività in prospettiva della crescita sociale e del benessere comune.


Il benessere personale sembra ormai un concetto da biblioteca; gli esseri umani sono ridotti ad una moltitudine di esseri disturbati: ostilità, rivalità, insoddisfazione, rabbiosità, ansia, paure varie, diffidenza, solitudine, tristezza, depressione, rancore, invidia, gelosia, sopraffazione, possessività neanche l’uomo di Neanderthal si comportava così. Sappiamo come nel corso dei secoli l’individuo abbia perso la coda in quanto non usata preferendo ad essa l’uso delle mani così come ora probabilmente sta perdendo le capacità intellettive più elevate a causa del ricorso ai preferiti comportamenti passivi, istintivi, animaleschi e speculari. Il piccolo immeritevole ometto che vive sul pianeta ignora che la Vita ha le sue leggi ferree basate sui valori così detti portanti. Dette leggi della vita in una sintesi "chiara e forte" si estrinsecano nell’istinto di sopravvivenza e (la tendenza) o istinto al benessere ( ben essere – essere nel bene); i valori portanti, quali fonte naturale delle sacre modalità ispiratrici degli umani comportamenti, sono contemplati in quei nuclei altrettanto sacri quali: il valore della vita; il rispetto di se e del prossimo; il valore della famiglia; il valore del lavoro e della patria, dell’amicizia, il valore dell’onestà, l’altruismo e l’umano buon senso, nonché il valore delle regole e della cortesia nella vita di relazione. Potremmo scrivere un trattato su tutto ciò che l’uomo non ha capito e di conseguenza tutto ciò di cui manca, ma per ovvie esigenze di circostanza ci limitiamo a sottolineare la mancanza forse più grave: la capacità di amare se stessi, il prossimo e la vita stessa.


Dr.ssa Elisabetta Vellone



La Dottoressa Elisabetta Vellone ha seguito il Roma Garden Open, congratulandosi con Marco Cecchinato per la vittoria ottenuta nel match che lo vedeva opposto a Lorenzo Giustino. " Ho apprezzato la tua capacità di rimanere in partita, nonostante l'indubbio valore dell'avversario e la stanchezza accumulata in questa settimana ricca di doppi impegni al Roma Garden Open e all'Open BNL d'Italia al Foro Italico".  

La frenesia del tradimento. Perché?

Non vorremmo apparire come quelli che hanno appena scoperto l’acqua calda, poiché ormai è prassi comune, nella coppia, la propensione a tradire il partner. Avere un amante o tradire occasionalmente è considerato quasi ovvio ai giorni nostri e in certi casi sembra assumere la forma di un diritto. La domanda che ci poniamo e sulla quale invitiamo a riflettere riguarda la sempre più frequente tendenza alla crisi di coppia.


Perché le unioni sono sempre meno caratterizzate da consapevolezza e solidità, da relazioni rilassate, appaganti e rassicuranti definibili il gioioso completamento reciproco e culla solida per la prole? Detta miserabile involuzione del rapporto a due ovviamente non è un fenomeno circoscritto alla coppia stessa, ma una smagliatura pericolosa che riguarda l’intera società contemporaneamente alla qualità di vita di ogni singolo essere umano. Pretendere di far luce su questo nefasto e complesso fenomeno equivarrebbe ad entrare in un labirinto di notte; le ipotesi certo non mancano: potremmo esaminare gli effetti collaterali della fine (forse mai iniziata) della sottomissione della donna nei confronti dell’uomo, oppure le leggi del consumismo che hanno portato la donna fuori casa a produrre reddito abrogando il ruolo di regina della dimora con conseguente delega del ruolo materno, potremmo citare il crollo dei valori portanti e conseguente degrado e caduta dei costumi e ancora, i lunghi anni di crisi economica e contrazione della visione del futuro in seguito alla precarietà, la povertà conseguenti alle fameliche malefatte dei potenti di turno. Naturalmente ognuno degli aspetti citati unitamente ad altri tralasciati costituirebbero una variabile incidente, ma non una risposta esauriente, poiché la crisi della coppia è figlia primogenita della crisi della persona.Per vari e complessi motivi il baricentro (psicologico) della persona si è offuscato e quando sembra esserci è precario e imprevedibile. L’essere umano è in continua oscillazione intorno a se stesso e raramente sa, perché fa ciò che fa o perché va in quella certa direzione. Proprio come in un labirinto oscuro si agita e si dimena, cammina a vuoto e si esaurisce, ma disperatamente ed istintivamente continua a cercare quel qualcosa di" buono" che non conosce, ma che sa esistere da qualche parte. Il povero lo identifica con il benessere e allora si affanna per arricchirsi (ruba, froda, abusa); il ricco sa già che il benessere non contiene in se quel buono sicché  entrambi, come in preda ad una crisi di astinenza, si logorano nell’affannosa ricerca. E’ consequenziale che l’essere umano in crisi di astinenza perda il controllo di se ed il contatto con la realtà ed è proprio in dette condizioni che il tradimento, con la sua promessa di felicità, di piacere ad alta tensione, di realizzazione personale, di  appagamento emotivo unico e speciale, seduce il piccolo essere fungendo da specchietto per le allodole nella confusa mente umana che diventa pronta a calpestare tutto e tutti sotto la spinta di un ego primitivo incosciente e sottosviluppato. L’uomo/ donna  è alla disperazione e, in uno stato di vuoto di sentimenti, di ideali, di passioni, di credo e di capacità di amare, raccoglie nel tradimento le briciole stantie di vibrazioni emotive seriali e quel che è peggio è: che se ne vanta.

Dr.ssa Elisabetta Vellone



                                                                   La donna e lo sport
Considerato il fruscio prodotto dalle ridondanti imprese sportive della donna riteniamo opportuno invitare il lettore a considerare, liberamente e senza pregiudizi, il fenomeno dello sport al femminile. I retaggi culturali hanno teso da sempre ad identificare nel “gentil sesso” un essere gracile, dedito a mansioni semplici, bisognoso di protezione, facile ai crolli emotivi e scarsamente resistente. Parallelamente l’uomo abituato a pavoneggiarsi della sua più solida stazza fisica e struttura muscolare confiscava molti ambiti sociali, tra cui quello dello sport soprattutto se agonistico, ritenuti non adatti alle femminucce sconfinando spesso e in maniera del tutto naturale in un implicito predominio psicologico che affannosamente tenta di evolversi.

Premesso ciò è doveroso, in onor della  chiarezza, considerare l’incidenza della componente psicologica nel fenomeno evoluzione della donna che , ovviamente, non si limita soltanto alle eccellenti prestazioni sportive delle quali siamo oggi testimoni. Non è certo questa la sede per stilare un trattato sulle caratteristiche del cervello maschile e quello femminile o quella per considerare l’estensione e le competenze di particolari aree cerebrali, ma è sicuramente il luogo  giusto per posare, lo stretto necessario, l’attenzione sulla psicologia maschile e quella femminile. In termini molto pratici possiamo dire che la psiche maschile è caratterizzata da una estensione di tipo orizzontale mentre quella femminile da una di tipo verticale; in oltre l’Io maschile si identifica nella propria virilità, potenza e il proprio apparato genitale, mentre l’Io femminile si identifica nel proprio intero corpo, privilegiando la dimensione emotivo/affettiva. In sintesi la donna prima ama e poi agisce, l’uomo prima agisce e poi “forse” ama. Applicato alla pratica sportiva ed in particolare nel nostro amato tennis per quanto detto l’uomo è attratto di più dal qui ed ora, dall’immagine sociale, dal successo; la donna è attratta dalla passione per ciò che fa, dalla caparbietà, la serietà, l’impegno e il sacrificio che caratterizzano ogni sua scelta. La potenza fisica con l’impegno e l’allenamento non mancheranno all’appello, poiché com’è noto volere è potere e la donna “sa volere”. A sostegno di quanto sopra i cartelloni parlano chiaro: si contano ormai centinaia di atleti e campioni di tennis sia al maschile che al femminile. I maestri spesso si compiacciono dell’impegno, le capacità tecniche ed i progressi delle allieve. Nello sport le doti naturali sono la base, ma tutto ciò che su quella base verrà edificato dipende dalla testa e dalla capacità di volere; il tennis al femminile sta dimostrando tutto ciò.

Dr.ssa Elisabetta Vellone

                                                             La paura di vincere
Può sembrare paradossale, ma è talmente ricorrente la così detta “sindrome da paura di vincere” che chiunque pratichi ambienti sportivi ne conosce il frequente manifestarsi; proprio sul più bello, quando l’opportunità di affermarsi vincitori si presenta con altissime probabilità, l’atleta si spegne inspiegabilmente concedendo il sorpasso all’avversario. E’ naturale e inevitabile interrogarsi su come ciò sia possibile e  su come può uno sportivo agonista, che per definizione anela miglioramento, affermazione e vittoria, avere poi la paura di vincere.

L’obiettivo che ci proponiamo in questa sede è quello comprendere detto fenomeno evidenziandone le dinamiche nevrotiche che ne sono alla base. In diverse occasioni abbiamo sottolineato come, molto spesso, ciò che volgarmente definiamo paura in realtà è soltanto una reazione  ansiosa in quanto la prima è una reazione sana ed auspicabile di fronte ad un pericolo reale incombente mentre la seconda, pur avendo le stesse caratteristiche psicofisiologiche della paura, si attiva di fronte ad un pericolo immaginato dal soggetto e quindi è solo fenomeno di ansia disfunzionale e patologica. Tenendo presente che la nostra mente, per legge di natura, elabora sempre strategie psicologiche finalizzate a proteggerci e preservarci da danni o pericoli vari, ci chiediamo qual è, dall’ottica della nostra psicologia, la presunta funzione positiva della “paura di vincere”. Per comprendere la logica di detto provvedimento nevrotico va tenuto presente che durante la crescita, nell’età della formazione dell’IO, le esperienze che il soggetto fa in relazione al mondo esterno costituiscono materiale altamente significativo per la determinazione del valore personale altrimenti detto autostima. Dato l’egocentrismo infantile, se le esperienze soggettive sono positive ed appaganti, l’IO stabilisce: io valgo, io sono potente, io posso etc., se viceversa sono frustranti e deludenti, l’IO elabora: io non sono all’altezza, io non valgo etc. dando luogo all’inevitabile conclusione inconscia di buona stima di sé o bassa autostima. E’ opportuno sottolineare che Il processo sopra descritto non è di natura volontaria e cosciente, ma, anzi, totalmente inconscio e pertanto sconosciuto allo stesso interessato. Sottolineiamo che nell’esperienza umana è implicito come il progredire, l’acquisire nuovi titoli e occupare posizioni di maggiore prestigio (titoli sportivi, laurea, promozione) comporti l’assunzione delle responsabilità scaturenti dal salto di qualità di turno; questo è il motivo per cui, a livello inconscio, quando l’IO è improntato sulla scarsa autostima, scatta il provvedimento nevrotico di evitare accuratamente il rischio di assumersi delle responsabilità che diventano nella fantasia di dimensioni insostenibili. Il soggetto, che non può comprende le dinamiche ed il perché delle sue assurde incoerenze, generalmente si autoaccusa, diventa ostile con se stesso aumentando la disistima personale e la sfiducia in se stesso. Basterebbe in questi casi farsi aiutare da una persona addetta e competente per eliminare il meccanismo disfunzionale proprio come ci si fa aiutare per migliorare le prestazioni fisiche e i vizi di postura.

Dr.ssa Elisabetta Vellone

I mali del secolo anche nel mondo dello sport: la gelosia
E’ in questo periodo autunnale che, contemporaneamente alla scuola dell’obbligo, ripartono i corsi delle varie discipline sportive. Per quanto riguarda le scuole del tennis, sempre più frequentemente in tempi di iscrizioni, si nota un movimento migratorio di allievi i quali si spostano da un circolo ad un altro, apparentemente senza motivo, anche se spesso il nuovo è meno facilmente raggiungibile dall’atleta e dal suo accompagnatore. I più giovani, quelli intorno ai 10 anni di età, che per legge di natura tendono a stabilire rapporti amicali con i compagni di corso, difficilmente chiedono di essere spostati in altri siti, ma data l’età in genere accettano le motivazioni sentenziate dai genitori pur di praticare l’attività prescelta. Da addetti ai lavori quali siamo non è casuale voler ricordare il grave disagio valoriale in cui versa l’intera società e l’altissimo costo, generato da ciò, a carico dei giovani e dei giovanissimi a proposito dei quali sottolineiamo l’importanza dell’azione educativa e formativa, finalizzata e coerente, onde favorire uno sviluppo sano ed una reale maturazione. Più volte abbiamo sottolineato come il genitore con i suoi intenti, con i suoi esempi ed i suoi comportamenti forgia in maniera diretta ed indiretta il profilo psicologico e lo stile comportamentale dei propri figli.

La domanda che ci poniamo, e sulla quale intendiamo richiamare l’attenzione del lettore circa il fenomeno sopra citato, è: perché il genitore prende la decisione di cui sopra così frequentemente ed impulsivamente; qual è il disagio personale che lo motiva? Difficilmente il vero motivo viene da questi dichiarato, ma naturalmente non è difficile dedurlo zumando all’interno di certe dinamiche relazionali nel corso delle lezioni di tennis alle quali molti genitori assistono perentoriamente con atteggiamento da grandi esperti e per nulla imparziali. Il maestro di tennis è un professionista abilitato dalla Federazione a fare il lavoro che fa e, come ogni professionista, deve avere carta bianca circa la sua maestria ed i criteri fatti propri; una cosa è certa nessun maestro può avere interesse a comportarsi in modo da allontanare da se un proprio allievo. Tanto per scendere “direttamente in campo” capita ad esempio che nella rotazione di un gruppo di allievi, durante una lezione, il maestro possa ritenere utile che un ragazzo ripeta un certo movimento due o tre volte di seguito rispetto ad altri che di norma lo fanno una sola volta ritenendo, probabilmente, che questo dimostri maggiori difficoltà rispetto all’automatizzazione di quel certo movimento. L’avesse mai fatto! Improvvisamente, nella testa del genitore supervisore nevrotico, si attiva il tormentone generato dalla gelosia basato su sentenze ed improperi quali ad es.: ha i suoi cocchetti; si dedica solo ai suoi preferiti; trascura il mio povero bambino/a; chissà chi si crede di essere; lo porterò via da qui quanto prima ecc. ecc. . Questo ipotetico fenomeno preso ad esempio ci conduce dritti, dritti al vero problema che potremmo definire di portata sociale: l’educazione confusa e incoerente, basata su falsi valori per carenza di genitori saggi, umili e consapevoli.

Dr.ssa Elisabetta Vellone



La Comitiva: un’opportunità poco valorizzata
Com’è noto l’origine del termine comitiva scaturì dal concetto di accompagnare, stare accanto a qualcuno o al seguito di qualcuno. Ciò induce la deduzione che allora detta comitiva si realizza intorno ad una figura leader. Da cui comitiva come gruppo di persone inserite spontaneamente all’interno di una fitta rete di interscambi  significativi intorno ad un leader ove tutti contribuiscono e contemporaneamente tutti usufruiscono secondo le proprie caratteristiche ed esigenze. Una particolare sensibilità e bisogno di appartenenza ad un gruppo di pari (o comitiva) si manifesta proprio nel periodo della pubertà/ preadolescenza con un andamento crescente e progressivo negli anni a venire. Il periodo della pubertà è caratterizzato dal naturale fenomeno evolutivo del distacco dei legami affettivi, sia erotici che aggressivi dalle figure genitoriali, grazie ad una spontanea  elaborazione con spostamento verso l’esterno dei propri interessi in direzione dei compagni e dei propri pari.

Rendendo giustizia ai fenomeni di crescita ed evoluzione dei giovani, bramosamente alla ricerca di anelata autonomia, ma non ancora liberi dal bisogno di protezione e guida, sottolineiamo l’opportunità di appartenere ad una comitiva dove è vero che i soggetti ripropongono le dinamiche relazionali apprese in famiglia, ma a differenza di questa la comitiva propone al singolo nuove regole, nuove modalità, nuove dinamiche e nuovi obiettivi al quale il giovane si deve adeguare, rispettandole ed accettandole, per potersi integrare ed appartenere; pena l’esclusione e l’allontanamento da parte del gruppo stesso. E’ evidente, da quanto premesso, che il giovane, proprio nello sforzo di appartenere ed essere accettato e considerato in comitiva, compie le prime azioni complesse di autonomia personale. La crescita e l’evoluzione personale non possono prescindere dalla capacità di integrazione funzionale da parte del soggetto con l’ambiente intorno a se; integrazione che a sua volta passa attraverso un percorso esperienziale basato sull’agire che comprende: conoscenza di se, conoscenza degli altri, capacità di empatia, condivisione di intenti e di sentimenti, capacita di mutuo aiuto e di sacrificio per il bene comune, disponibilità ed altruismo, realizzazione dell’ identità di gruppo senza mai oscurare l’identità personale. In altre parole la comitiva sostiene, incoraggia, sprona e gratifica e soprattutto diverte mentre appaga anche il bisogno ludico dato dal confronto, dal giocare insieme, dagli scherzi e della crescita intellettuale che ne consegue. Nella comitiva c’è un posto per tutti per il timido, l’irruento, per il leader ed il gregario, per il bello e per il brutto anche se, per una legge osmotica, a lungo andare tutti i componenti si somigliano un po’. Nello sport in generale e nel tennis dilettantistico il fenomeno della comitiva “del Circolo Sportivo” o della squadra della quale si è parte può assumere caratteristica di fonte energetica di altissima qualità,  sia a livello dei singoli atleti, sia a livello di squadra, ma anche a livello di circolo sportivo, poiché l’interdipendenza diventa funzionale e, come è noto da sempre, l’unione fa la forza.

Dr.ssa Elisabetta Vellone




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Persona e persona Down

Nel pensiero filosofico moderno per persona si intende "l’ente che si esprime a se stesso nell’atto in cui intende, vuole e ama. Le scienze psicologiche, che da sempre si affannano per individuare cause e condizioni del benessere o malessere interiore, convergono nel ritenere, la ricerca del benessere interiore, una tendenza istintiva innata nella persona insinuando la stessa come obiettivo primo e più ambito nell’esperienza di vita.Ciò premesso è doveroso ricordare che l’azione umana, per approdare all’appagamento psicologico atto a produrre il sano stato di benessere, deve procedere sui binari della crescita interiore, dell’autorealizzazione dell’individuo all’interno di un ambiente affettivo solido e leale; in altri termini la persona che ama e si sente amata non esita ad intendere ed a volere a prescindere  alla condizione di portatore di handicap oppure no.

Detto ciò, in questo momento, se invece di scrivere per dei lettori fossimo stati di fronte ad una platea in ascolto vi avremmo invitati a manifestare, con uno scrosciante e generoso applauso, tutta la dovuta gratitudine e l’apprezzamento nei confronti dell’Associazione Italiana Persone Down, unitamente alle numerose consorelle presenti sul territorio, la quale ogni giorno, senza scopo di lucro, si adopera per consentire una possibile piena esperienza di vita ai propri ragazzi Down, esperienza che si concretizza: in percorsi di autonomia, servizio scuola, promozione sportiva, inserimento lavorativo e formazione dei genitori degli stessi mentre, collateralmente, realizzano la propria  crescita ed autorealizzazione. Un secondo caloroso applauso idealmente lo dedichiamo a tutti quei nomi famosi delle varie discipline sportive i quali da campioni sportivi e grandi maestri di vita allenano i ragazzi down, concorrendo con essi per quel trofeo senza pari riservato a tutte le persone ovvero l’ente che si esprime a se stesso nell’atto in cui intende, vuole, ama.

Dr.ssa Elisabetta Vellone

Wild Card  un privilegio che responsabilizza
In ambito tennistico è nota la prassi secondo la quale un atleta ritenuto interessante, anche se non ha disputato i previsti turni di qualificazione, può essere ammesso nel tabellone di un torneo con la una Wild Card. Si tratta di una speciale autorizzazione concessa della Federazione ed altre autorità che consente all’atleta di giocare con i campioni facendo una esperienza impareggiabile. In pratica però il benficiat, reagisce spesso inadeguatamente e nervosamente alle comprensibili sconfitte che potrà elencare nel corso del torneo spiazzando i fautori e i promotori del privilegio concesso. Per esaminare detto fenomeno può risultare opportuno saperne un pochino di più in termini di dinamiche mentali. La mente umana è un apparato molto complesso governato da due padroni, paradossalmente estranei fra di loro e spesso con interessi ed obiettivi apparentemente opposti; gli apparati in questione sono quelli tecnicamente definiti: la dimensione razionale cosciente e la dimensione inconscia. Competenze della mente razionale cosciente sono tutte quelle abilità che fanno capo alla scienza esatta, la logica, la consequenzialità, ovvero la gestione dell’aspetto pratico della vita e la materialità.

La dimensione inconscia altresì, in alleanza con l’istinto del benessere e della sopravvivenza, gestisce la nostra emotività, i nostri sentimenti, la creatività definibile, anche, la culla dell’amore gratuito. Se nella dimensione inconscia si realizzano traumi o ferite che impediscono la serenità ed il benessere della persona, questa si attiverà in maniera reiterante e nevrotica per cercare di riparare il danno in essere, scatenando però, il conflitto con la dimensione razionale la quale non comprende il provvedimento e spesso lo condanna come difetto personale irreparabile. Nel soggetto psicologicamente solido, volitivo e tenace i due "padroni mentali", grazie all’intelligenza, alla volontà, all’impegno e alla caparbietà di proiettarsi umilmente nella dimensione futura in direzione degli obiettivi scelti, vivono in stretta alleanza e mutuo sostegno dimostrando l’abilità di comprendere l’esatto valore e l’opportunità proprie ad ogni piccolo passo in avanti, ma anche le ragioni degli inevitabili ostacoli da gestire e superare con fiducia ed allegria. Quando l’atleta reagisce inadeguatamente di fronte alle prove che incontra durante il suo percorso dimostra di non avere padronanza di sé e della situazione contingente; denuncia  fretta ad ottenere conferme che magari sono in rosso storicamente. Potrebbe avere esigenza di maggiore autostima, oppure un bisogno di conferme da parte del prossimo e bisogno di dimostrare le sue capacità e quant’altro. Per chi usufruisce di una wild card, perdere con un giocatore già qualificato di diritto, potrebbe   equivalere ad una vittoria, ma se non ha la giusta serenità interiore, forse, non lo capirà mai.

Dr.ssa Elisabetta Vellone



Alimentazione e giovani atleti
Nel nostro paese circa il 30 % dei ragazzi praticano una disciplina sportiva. E’ parere condiviso il ritenere che un’attività sportiva, nell’esperienza giovanile, sia un contributo prezioso per lo sviluppo e lo stato di salute psicofisica. Pensando a ciò è opportuno sottolinearne le caratteristiche le quali a livello fisico si esprimono sotto forma di un corpo atletico, sano ed energico mentre a livello psichico si evidenziano sotto forma di maturazione adeguata all’età cronologica, alla capacità affettiva, di impegno e senso di responsabilità, doti queste che scaturiscono dall’eredità di uno stile educativo sano , coerente, centrato sul criterio del  vero bene della persona. In tutte le prestazioni personali, ed in particolare in quelle sportive, lo stato di armonia e di corrispondenza fra corpo e mente si basa sul naturale appagamento tra bisogni fisici e mentali intendendo per bisogno la conditio sine qua non . Fin dai tempi antichissimi la scienza dell’alimentazione venne applicata allo sport quindi, in termini fisici, è assodato che l’apporto adeguato di sostanze nutritive basato su una alimentazione responsabile consenta e promuova lo stato di salute del corpo atletico; mentre, per quanto concerne i bisogni mentali escludendo il settore professionisti affermati, regna ancora una tendenza all’improvvisazione spontanea che affannosamente corrisponda alla fame di stimoli positivi  caratterizzante la mente giovanile. Per legge di natura l’attività mentale tende a regolare, in cicli reiteranti, moltissime azioni del corpo e della psiche (il ciclo del sonno; il ciclo della fame; quello della massima efficienza soggettiva ecc.) l’azione mentale della ciclicizzazione dei comportamenti consiste nella automatizzazione dei medesimi aumentandone così la velocità di esecuzione, la padronanza e la disinvoltura del soggetto nonché il senso di sicurezza personale grazie all’ordine mentale che si realizza e che comunemente definiamo abitudini. Le quali, come rito o rituale personale che attraverso la celebrazione quotidiana riaffermano il mito personale dell’esistere (io sono, io sono importante). E’ consequenziale in questa cornice contemplare il comportamento alimentare del giovane atleta come un rituale personale, positivo o negativo, di altissimo tenore emotivo ed affettivo. Nella storia dell’uomo l’atto del mangiare ha sempre fatto da cornice agli eventi importanti del singolo, ma anche della vita di comunità in quanto in questo si celebra ogni volta il rito della vita in essere. Tornando ai bisogni della mente ed alla sua fame di stimoli, in riferimento alle abitudini alimentari dei tanti ragazzi che praticano lo sport, non possiamo ignorare come troppo spesso questi giovani atleti, cui si chiede sistematicamente di impegnarsi, di emergere e di vincere, vengano poi frustrati nell’appagamento di quei bisogni di base che vanno a ledere ed oscurare il mito personale in termini di “ io non sono importante per te”. Ragazzi e ragazzini sempre di corsa fra la scuola, i compiti, lo sport che spesso non hanno il tempo di mangiare o lo fanno fugacemente durante il tragitto oppure vorrebbero farlo, ma hanno dimenticato di portarlo con se; e quando dette situazioni costituiscono l’andamento abitudinario nel quotidiano non solo la mente, ma anche il corpo va in sofferenza e le prestazioni tendono a scadere, innescando dei circoli viziosi dove diventa difficile comprendere se il giovane “non va” perché non c’è la testa oppure se non c'è la testa perché il giovane non va. A tale proposito è opportuno sottolineare l’opportunità per il genitore di rimanere centrato nel suo ruolo di padre e di madre, già pregno di oneri ed onori da non sottovalutare, e non trasformarsi in un giudice di velocità sulla pista dell’esistenza dei propri ragazzi.  
Dr.ssa Elisabetta Vellone



 
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